Uso spaziale del colore

Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino (particolare), 1510-13ca

 

Il colore ha qualità proprie di rappresentazione dello spazio non connesse alla figurazione. Un aspetto del quale ha dibattuto lo stesso Itten (Johannes Itten 1888-1967) nel suo saggio Arte del colore (1961), ma che vorremmo qui esemplificare tramite l’opera (1) di un artista, docente anch’egli al Bauhaus come Itten, che delle capacità spaziali del colore si occupo per tutta la vita. Josef Albers (1888-1976) fu anzi il primo a condurre un’indagine così rigorosa sulle possibilità espressive della spazialità cromatica, gettando le basi per la successiva Optical Art che, dagli anni Sessanta, condusse una ricerca serrata sulle illusioni ottiche e le possibilità percettive del colore.

(1) Josef Albers: Homage to the Square: Glow, 1966

È evidente come, nella sua serie di dipinti Omaggio al quadrato, Albers si concentri sull’illusione di profondità che il colore può suscitare. Il nostro sguardo è vinto dallo sfondamento cromatico della superficie. Il giallo esterno appare chiaramente in primo piano, mentre i colori che formano i quadrati interni, mano a mano degradano visivamente, sino a condurci al rosso-arancio che sembra distante, collocato in fondo allo spazio. Questa sovrapposizione, di quadrati cromatici, forma un innegabilmente corridoio visivo. Albers studia sistematicamente i rapporti di colore rispetto alle loro qualità di avanzamento e arretramento, aspetti che abbiamo pocanzi descritto.

Nell’esempio successivo, tratto dall’opera di Victor Vasarely (1906-1997) (2), fondatore dell’Op Art (abbreviazione di Optical Art), è lampante il lascito ereditario di Albers, del quale però perde la sobrietà per spingersi sino alle estreme conseguenze dell’illusorietà ottica, della quale portiamo un esempio con l’opera Bridget Riley (1931) (3), l’altro principale esponente di questa corrente. All’interno della ricerca condotta dall’OP Art diviene evidente come le variazioni cromatiche, legate a forme semplici, sono in grado di suscitare una spazialità percettiva nei fatti inesistente. Una ricerca che, per mezzo delle installazioni si farà fisicamente spaziale, tramite l’uso di luci e materiali riflettenti che coinvolgono e reagiscono con gli ambienti, come nell’opera di Julio Le Parc (1928) o Heinz Mack (1931), per citarne solo due.

(2) Victor Vasarely: Vonal-Stri, 1975      (3) Bridget Riley, Hesitate, 1964

Più in generale, anche nella figurazione tradizionale, il colore è abitualmente impiegato per una più efficace resa della profondità spaziale, dove accompagna gli elementi già approntati dal disegno in senso prospettico: per cui gli elementi del fondo, ossia quelli che appaiono più distanti, saranno genericamente caratterizzati da tonalità più chiare, tonalità che diverranno più intense mano a mano che ci si avvicina al punto di vista dell’osservatore. Sarà proprio nel Rinascimento che Leonardo (4), per giungere ad una più efficace mimesi delle profondità spaziale, adotterà la prospettiva aerea che tende a riprodurre anche gli effetti dovuti alla presenza dell’atmosfera e per la quale le colline in lontananza ci appaiono azzurrine e i contorni dei soggetti, animati e inanimati, divengono indefiniti, tendendo ad una loro maggiore compenetrazione.

(4) Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino, 1510-13ca.

Anche in questo caso, come già per mezzo della prospettiva matematica, ciò che l’autore d’immagini mostra e propone all’osservatore non è la realtà, ma piuttosto come essa appare ai nostri occhi. Come la prospettiva mostra una convergenza degli elementi che si allontanano dal nostro punto di vista, seppur inesistente nella realtà, così la prospettiva aerea mostra i soggetti più indefiniti man mano che si allontanano e un loro schiarimento cromatico, riproducendo, anche in questo caso, non la realtà ma le nostre limitate possibilità ottico-visive.

 

Bibliografia

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Siti web

http://www.treccani.it/vocabolario/

https://it.wikipedia.org