Dal postmoderno all’altermodernità 8

Andy Danzler, Touch, 2012

Seminario tenuto il 7 novembre 2020 presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, all’interno del ciclo dal titolo Interventi attorno Chiari

 

L’espressione attuale

Il complesso saggistico del critico francese non contempla molti degli aspetti che appartengo a questa nuova epoca, comunque la si voglia chiamare, che ne hanno invece costituito tanta parte e che è bene almeno accennare.

Inizierò indicando alcuni degli autori, che secondo il costrutto teorico di Bourriaud, sono espressivi di quel percorso di raccolta di segni condotto dall’artista e dunque indicativi dell’altermodernità propriamente detta: Kutluğ Ataman, Shirin Neshat, Barthélémy Lelong, Dan Graham, rirkrit Tiravanija, Tsuyoshi Ozawa, Julie Mehretu, Franz Ackermann, Lawrence Weiner, Haim Steinbach, Kelley Walker, Mike Kelley, Robert Fillou, Jason Rhoades, Gabriel Orozco, Mark Dion, Jeremy Deller, Subodh Gupta, Jeff Wall, Francis Alyss, Superflex, Kendell Geers, Bruno Serralongue, Seth Price, Wade Guyton, Kelley Walker, senza necessità di citarli tutti.

Come detto negli anni Novanta la pittura Lowbrow prese sempre più i caratteri del Pop Surrealism (8) con i quali oggi la conosciamo, esplodendo in tutta la sua evidenza alle soglie del nuovo millennio anche per moltiplicazione di presenze. Medesimo processo riguarda il fenomeno della Street Art (9), le cui radici risalgono al graffitismo di Harring (Keith Haring 1958-1990), ed ha oggi  i suoi due rappresentanti più noti in Bansky (1973) e in Italia certamente in Blu.

Bansky, 2018                Blu, 2011

Questo non certifica che la sola presenza in questa nuova fase assegni loro un differente spirito rispetto a fenomeni già appartenuti al postmoderno. Un aspetto che va maggiormente ricondotto all’operato dei singoli autori e al trovarci in una fase iniziale del nuovo processo, dove più facilmente convivono anime ancorate al passato ed altre proiettate in avanti. Così come nel solco delle correnti fredde si collocano autori maggiormente ancorati all’espressione concettuale, performativa e d’installazione tipica degli anni Sessanta e Settanta, come pure autori che del tragitto-forma, segnalato da Bourriaud, costituiscono la loro multidisciplinarità espressiva. O ancora in pittura vi è un ritorno insistente dell’accademismo iperrealistico, come pure di produzioni d’informale memoria e molta produzione in equilibrio tra figuratività e astrazione, categorie desuete. Senza considerare l’enorme produzione fotografica deflagrata con il digitale che si produce nelle direzioni più disparate e, anche qui, certamente non mancano le ibridazioni. E le infinite produzioni digitali di ogni idioma: pittorico, astratto, collage fotografico. Tutto è compresente, cancellando le definizioni di vecchio e nuovo, corrodendo i ruoli dei critici e dei curatori, quasi del tutto estromessi da un’arte a domicilio in cui l’atto analitico è fatto in casa senza intermediari. Del resto, in questa compresenza, perché Bourriaud o Achille Bonito Oliva dovrebbero suggerirci il vecchio e il nuovo o quel che più dovrebbe piacerci o, ancora, quel che ha maggiore capacità espressiva dei nostri tempi nell’esposizione domestica che ha reso le gallerie d’arte luoghi archeologici e i musei sale d’intrattenimento?

Se dobbiamo rintracciare un tratto caratteristico di questa nuova epoca, va certamente individuato in una rinnovata volontà critico-sociale, totalmente discosta dalle operazioni spettacolari e d’intrattenimento spesso proposte proprio dalle gallerie e dai musei. Non a caso molta nuova produzione artistica si caratterizza come laterale. Molti dei musicisti della nuova scena sono autori che si autoproduco e autopromuovono tramite i nuovi media, lontani dalle major del mercato musicale, come lo stesso Post-Rock, che abbandonati gli entusiasmi del Pop Rock tradizionale, si produce in sonorità certamente più riflessive, disturbanti e pessimistiche, quando, in altri casi, non va alla ricerca di una nuova solarità ottenuta anch’essa per levità riflessiva anziché per frenesia ritmica. Medesima cosa può dirsi per molti compositori, sempre in bilico tra il colto e il pop, espressioni ormai desuete. Molte testimonianze musicali odierne sono contrassegnate da nomi progettuali dietro i quali si celano singoli musicisti, per cui non si sa più se ci si trovi di fronte ad una band o ad un compositore. Senza poi tener conto delle collaborazioni tra gli stessi che creano mescolanze e confluenze progettuali.

Anche gli esempi letterari già su citati presentano una nuova aggressività critico-sociale, mi riferisco ad esempio al collettivo Wuming o a certe cose di Giuseppe Genna.

Al di là dei risultati ci limitiamo ad osservare che, rispetto agli anni Ottanta e Novanta, negli ultimi anni si sono susseguiti con forza movimenti di dissenso in maniera numericamente più cospicua e con maggiore insistenza, probabilmente il tempo di analisi è ancora troppo prossimo per poter decretarne un giudizio certo.

Per brevità va infine segnalato come in pittura già dalla metà degli anni Novanta, ma anch’esso deflagrato al sorgere del XXI secolo, si sia affacciato sulla scena un fenomeno che non costituisce corrente, e forse per questo ancor più interessante come fenomeno di un sentire generazionale comune, una nutritissima serie di pittori che con insistenza paiono lavorare sull’assenza e sulla negazione. Una negazione intimamente legata, a me pare, a quella condizione determinata dall’Era dell’Informazione. Negazione e assenza che sono i due poli di una medesima rappresentazione volta alla registrazione del silenzio coercitivo condotto dal flusso abnorme delle informazioni che saturano la virtualità digitale. Della quale, anzitutto, ne registra l’impalpabilità, evidenziandone inoltre la vera faccia della disperata condizione di anonimato che assegna a ciascuno, non consentendo la distinzione di un solo suono o voce, divorati come sono dal frastuono continuo provocato da quel flusso inarrestabile. Ne citerò solo alcuni: Lesley Oldaker (1966), Akihito Takuma (1966), Kenneth Blom (1967), Edwige Fouvry (1970), Tina Sgrò (1972), Alex Kanevsky (1963), Andy Denzler (1965), Søren Tougaard (1965), Vladimir Migachev (1959), Alessandro Papetti (1958), Fabien Claude (1960) e con loro molti altri. Tanto che nella generazione successiva questo sentire si è addirittura decuplicato.

Alex Kanevsky, K.B. in her Bathroom, 2005 –  Andy Denzler, Distorted Face II, 2005 –  Adrian Ghenie, The fake Rothko, 2010

Alessandro Papetti, Boulevard St Germain, 2006 – Akihito Takuma, Lines of flight op, 482, 2015

Dahrendorf sostiene che si possono notare due segnali molto chiari che ci indicano le dissoluzioni della società avanzata. Il primo è la rinuncia alla storia, il lasciare che il fare ci derubi del passato; il secondo è la straordinaria difficoltà che i partiti politici di oggi hanno nel definirsi, nel darsi un programma. I giovani non hanno più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento nel presente.

 

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